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Generazione X

Sapere aude

Generazione X, il tempo del riscatto

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Siamo all’inizio della faticosa risalita, i primi lenti movimenti di un corpo intorpidito da inattività psichica e sospeso sull’opprimente limbo della non-idoneità. Per la Generazione X – apatica, confusa e frustrata per altrui definizione – avrebbe dovuto essere l’ora di trarre alcuni bilanci esistenziali in positivo: al contrario, lunghe liste d’attesa e file interminabili per un auspicato posto al sole si dispiegano dinanzi a milioni di sguardi smarriti.

L’attesa del primo impiego, l’attesa di una stabilità economica e di metter su famiglia: statisticamente “sterile”, la stragrande maggioranza della prole dei figli del boom economico-demografico post-II Guerra mondiale si trascina in fidanzamenti ventennali, fra precariato perenne e apoliticità congenita – rinviando di decennio in decennio la transizione allo stadio adulto. A quanto sembra, l’incognita progenie dei contestatori del ’68 è stata contagiata da una sorta di sindrome di Peter Pan.

Dando un’occhiata all’emergente seguito demografico della GX – ovvero i nati a cavallo del nuovo millennio, altrimenti detti Millennial, Generazione MTV (dal nome dell’emittente televisiva statunitense con sede a New York), oppure Generazione Y – non si riscontrano i medesimi tratti di staticità patologica: giovani muniti di laurea breve, contratti co.co.co., vivono in simbiosi con l’inseparabile iPhone e cullano pargoli nel supertecnologico passeggino.

Noi di GX, preso atto del suddetto stato delle cose, intendiamo indagare a fondo il preesistente contesto geopolitico e sociale, il substrato ideologico e culturale, le manifestazioni di protesta antimperialista della “Liberal Left”, le radici dei fenomeni di costume nonché le dinamiche economiche ed istituzionali globali che ci hanno resi una classe di transizione interplanetaria, a metà strada fra i più arditi oppositori del sistema capitalistico e gli addomesticati (e addomesticabili), inoffensivi e docili “nativi digitali” – adolescenti dell’11 settembre che subiscono come cavie le normative dettate dall’Unione europea e una sfilza di riforme incomplete (istruzione, lavoro) dell’Italia in crisi.

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Nel suo recente saggio dedicato alla Psicopatologia del politico, Giovanni Armillotta ha accuratamente dimostrato come alla Camera dei Deputati gli esponenti politici appartenenti alla GX siano attualmente 403, “pari a ben il 63,27% dell’intera assise”. Ergo, un balzo in avanti del 71,49% dal 2008 – anno in cui i medesimi rappresentanti furono 235 (ossia il 34,6%).

Senza tralasciare il fatto che, dal 28 aprile 2013, il presidente del Consiglio Enrico Letta (n. 1966) è il primo esponente di una “generazione ignorata” incaricato di formare un governo italiano. Tali evidenze ci spingono a credere che il tempo dell’azione sia giunto: dopo un brusco risveglio collettivo, crogiolarsi nell’autocommiserazione generale, da ora sino alla vecchiaia, non è una prospettiva così allettante. Ci auguriamo possiate esser d’accordo.

Dovremmo compiere uno strategico balzo in avanti per conquistare un ruolo attivo: sarà necessario risolvere la complessa equazione e disvelare i valori che, sostituiti all’incognita, conducono alla soluzione. Qual è la vera identità dei 30-40enni di oggi?

La genìa dell’ex premier-tecnico Mario Monti (n. 1943) ha realmente creato una discendenza “perduta”, senza immaginario e priva(ta) di speranze nel proprio futuro? Nell’estate del 2012, il Senatore a vita – nominato dal presidente Giorgio Napolitano – dichiarava candidamente alla rivista Sette:

Le risposte corrette l’Italia avrebbe dovuto darle dieci, venti anni fa, gestendo in modo diverso la politica economica, pensando di più al futuro e un po’ meno all’immediato presente. Alcide De Gasperi diceva che il politico pensa alle prossime elezioni, mentre l’uomo di Stato pensa alle prossime generazioni. Lo sottoscrivo. Quindi la verità, purtroppo non bella da dire, è che messaggi di speranza – nel senso della trasformazione e del miglioramento del sistema – possono essere dati ai giovani che verranno tra qualche anno. Ma esiste un aspetto di “generazione perduta”, purtroppo. Si può cercare di ridurre al minimo i danni, di trovare formule compensative di appoggio, ma più che attenuare il fenomeno con parole buone, credo che chi in qualche modo partecipa alle decisioni pubbliche debba guardare alla crudezza di questo fenomeno e dire: facciamo il possibile per limitare i danni alla “generazione perduta”, ma soprattutto impegniamoci seriamente a non ripetere gli errori del passato, a non crearne altre, di “generazioni perdute”.

Ci chiediamo se gli altissimi meriti in campo sociale di cui il Senatore ha illustrato la Patria comprendano pure l’aver annunciato la pseudo-morte civile di circa dieci milioni d’italiani, uomini e donne che hanno raggiunto il completo sviluppo psicofisico.

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Certi che tali affermazioni siano ingiustamente disfattiste, proseguiremo nell’indagine analitica dell’èra dei sommovimenti studenteschi sessantottini e dei turbolenti cortei del ’77. È nostra intenzione comprendere come sia stato possibile che molte figure-chiave, lumi de La meglio gioventù – quella raccontata dal registra Marco Tullio Giordana nell’eccellente film del 2003 – abbiano rinnegato i propri anticonformisti ideali per accogliere a braccia aperte la politica liberista degli anni Ottanta. Prima di darci per spacciati, vorremmo innanzitutto intendere i motivi che hanno trasformato acerrimi critici del capitalismo con in tasca il libretto rosso di Mao in spettatori indifferenti al trionfo dell’edonismo consumistico della società italiana. Rivoluzionari da giovani, baby pensionati in piena maturità: hanno contestato la società borghese ma essi stessi sono stati stregati dal mito di un contratto a tempo indeterminato.

(Illustrazione di Sospensorio)

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