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Generazione X

Sapere aude

Da Homo Sapiens a Homo Google Glass: l’evoluzione secondo il consumismo

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Nel mentre osserviamo la situazione critica dei migranti – che in tempi di crisi sta impegnando notevoli risorse finanziarie dello Stato e solleva un dibattito fra istituzioni italiane e vertici di Bruxelles –, non dimentichiamo che l’impero del global marketing è sempre più attivo nell’opera di etichettatura di massa: loro, gli esperti del mercato unico, i guru dello spot pubblicitario marcano i consumatori pure in base alla generazione d’appartenenza. E – indovinate un po’ – il leggendario contrassegno della Generazione X (nati fra i primi anni ’60-’80) risulta essere, ancora una volta, la fannulloneria. Gli eterni “bamboccioni” dell’ex ministro dell’Economia Padoa-Schioppa. Figli maggiori dei disinvolti, ambiziosi e iperattivi boomer – la cui esplosione si registrò nel ’57, con quattro milioni e mezzo di bambini, il picco massimo negli Stati Uniti d’America – sono condannati senz’appello al precariato e all’indebitamento. Troppo diffidenti e cinici nei confronti di un marketing aggressivo. Peso demografico pressoché ininfluente, specie in paragone alla vastità dei 2,3 mld di Millennial (nati fra il 1981-2004), ossia la principale forza-lavoro su scala planetaria entro il 2020. Anche quest’ultimi, però, sebbene ipertecnologici, non fanno troppa gola alle agenzie pubblicitarie. In controtendenza con l’assioma della réclame in base al quale i gruppi d’età più numerosi influenzano le tendenze del mercato, sono e saranno i nati dal 2005 in poi – inclusi i nascituri, perciò non abbiamo dati certi – la vera manna dal cielo per il mondo del business. Come si spiega?

Secondo le previsioni di mercato, elemento identificativo della futura progenie sarà lo spartiacque che delimita una distinzione epocale: l’umanità prima e dopo Google Glass. Si tratta del progetto di “realtà aumentata” – augmented reality, AR – in via di sviluppo presso l’azienda statunitense con sede a Mountain View, in California – che “espande la percezione sensoriale umana” con proiezioni di informazioni, immagini (e spot!) direttamente sulla rètina interna dell’occhio.

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Fra le possibili applicazioni: registrazione di filmati e foto, previsioni meteo, aggiornamenti dai social network, notizie, videoconferenze, geolocalizzazione – nonché l’interazione con altri dispositivi bluetooth – e persino il rilievo di dati biometrici, oltre al riconoscimento facciale. Un prodotto, gli occhiali computerizzati di Google, che nei prossimi anni potrebbe essere diffuso viralmente: dopo il lancio, nel 2013, della Explorer edition riservata a sviluppatori e vip, in Italia l’accessorio tecnologico che promette di rivoluzionare la realtà percepita dovrebbe essere messo in commercio dal prossimo aprile. Malgrado l’azienda fondata dal quarantenne Sergey Mikhailovič Brin e dal rampante coetaneo Lawrence Page (entrambi “fannulloni” della Gen X) abbia divulgato una sorta di decalogo per il corretto utilizzo del “gadget di nuova generazione”, le polemiche sulla violazione della privacy e i dubbi di carattere sanitario sui Glass – emicranie e malesseri che sarebbero insorti nei collaudatori – non si placano. Il Codacons ha presentato nei giorni scorsi un’istanza al ministero della Salute ed al ministero dello Sviluppo economico per richiederne il divieto di commercializzazione nel nostro Paese, almeno finché “non ci saranno certezze per gli utenti che li indossano e per i cittadini ‘visti’ attraverso gli occhiali”.

Ma qual è la differenza fra i giovani Millennial , noti anche come “nativi digitali”, e la prossima generazione – che gli esperti chiamano “Z”? Per quanto tecnologici, muniti di smartphone, profilo Facebook e Twitter, i primi non sono nati con i Google Glass. L’uomo del futuro, il consumatore ideale, invece sì.


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