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Ex Machina, un androide con l’istinto di sopravvivenza

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Manipolazione, inganni, seduzione e paure si mescolano fra loro col risultato di generare sensazioni di smarrimento, innestando un ventaglio di dubbi nella mente. Chi è AVA? Una macchina umanoide dalle fattezze di una splendida donna (Alicia Vikander) oppure la coscienza collettiva del genere umano sintetizzata in un corpo robotico? L’amministratore delegato Nathan Bateman (Oscar Isaac, alias Poe Dameron di Star Wars: il risveglio della forza) possiede uno smisurato impero economico fondato sulla tecnologia di cui si avvale ciascun dispositivo di accesso a Internet. Ormai, è talmente ricco che le sue ambizioni sconfinano nella megalomania: in gran segreto e nei sotterranei locali domotici sperduti fra le montagne, ha dato forma ad AVA, l’intelligenza artificiale androide che attinge direttamente alle risorse della Rete. Le reali intenzioni di Nathan – personaggio contraddittorio e borderline, capace di infondere terrore o suscitare una risata nel giro di pochi fotogrammi – sono volutamente ambigue e contorte. Caleb Smith (Domhnell Gleeson), un giovane informatico che lavora presso la società BlueBook, riceve l’inaspettata notizia di essere stato selezionato fra i dipendenti per trascorrere un’intera settimana nella tenuta del magnate, genio enigmatico e sregolato – oltreché scienziato di fama planetaria. L’immensa tenuta di cui Bateman è proprietario – nella realtà, lo Juvet Landscape Hotel, un ibrido tra natura ed architettura moderna progettato dai norvegesi Jan Olav Jensen e Børre Skodvin – è al tempo stesso un laboratorio privato di sperimentazione. Per valutare le qualità umane di AVA e stabilire se sia in grado di pensare, Caleb sarà invitato a prender parte al test di Turing, in totale isolamento seppure sotto l’occhio vigile delle telecamere.

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Contrariamente alla procedura standard, il soggetto testato si troverà faccia a faccia con l’ignaro ospite, addensando sospetti sugli scopi occulti e le vere motivazioni dell’esperimento. Luci al neon, panorami di ghiaccio, gradazioni di colore quasi psichedeliche e suoni penetranti (l’ipnotica colonna sonora è di Geoff Barrow e Ben Salisbury) introducono gradualmente negli abissi di un giallo dai tratti inquietanti, dove nulla è come appare. Se non siete mai stati claustrofobici, è probabile che la visione di Ex Machina (2015), sceneggiato e diretto da Alex Garland, vi possa provocare la prima crisi. Sembra paradossale, eppure si tratta di un punto a favore dell’opera prima del regista inglese. La componente di “timor panico”, la sottile inquietudine che s’insinua nello spettatore rientra nei canoni classici del cinema di fantascienza: è sulla scia distopica di Metropolis dell’austriaco Fritz Lang, pellicola muta risalente al 1927, che sono emersi successori del calibro di Blade Runner, nonché l’esplorazione della tematica dei replicanti organici dall’aspetto pressoché indistinguibile dall’essere umano. Dal robot Maria che scatena dispute e dissolutezza negli abitanti della lussuosa metropoli, agli androidi intelligenti Nexus 6 di una futura Los Angeles ritratta da Ridley Scott. Un terrore indefinibile e misterioso suscitato dalla visione di un ipotetico – e plausibile – futuro prossimo o lontano.

Il domani rappresentato da Garland, finora famoso per il romanzo The Beach (da cui è tratto l’omonimo film con Leonardo Di Caprio) e la sceneggiatura dell’horror fantascientifico 28 Giorni dopo, oltre a Non lasciarmi, non sembra poi tanto distante. Anzi, per quanto ne sappiamo, Ex Machina potrebbe riferirsi ad una sorta di presente parallelo, dato che non sussistono termini temporali di paragone. L’unico dettaglio a differenziare l’universo narrativo è il nome del motore di ricerca, leader del mercato e utilizzato da miliardi di persone: BlueBook, anziché Google. Se un robot è “più umano dell’umano”, come recitava lo slogan della Tyrell Corporation, in che modo è possibile distinguerlo da un essere vivente? In Blade Runner, il metodo del test Voigt-Kampff per l’empatia consisteva in una serie di domande poste da un dispositivo per suscitare reazioni emotive. Nel caso dell’androide AVA, una simile valutazione sarebbe inefficace, poiché l’intera rete neurale di cui la IA è dotata si basa su input immessi dal genere umano – il 94% di tutte le ricerche su Internet – nel motore BlueBook. Persino la mimica delle espressioni facciali è stata acquisita e modellata attraverso dati registrati dalle fotocamere degli utenti. A tal punto, la suspense aumenta fino a chiedersi se anche Caleb o la silenziosa domestica e conturbante danzatrice Kyoko (Sonoya Mizuno) non siano anch’essi dei robot. Chi è il vero soggetto di analisi? L’istinto di autoconservazione nella sfida fra la mente umana e l’intelligenza artificiale impone il superamento di un limite fisico, come attraversare uno specchio: l’epilogo, sulle note del brano post-punk Husbands dei Savages, sarà ancora una volta sconcertante.

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Flora Liliana Menicocci

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