Una generazione sommersa nel deficit
L’aveva illustrata nel 2012, Mario Monti – da Presidente del Consiglio – la cruda realtà sulla “generazione perduta”: 30-40enni italiani in difficoltà perché non trovano spazio nel mondo del lavoro, destinati a svendersi e rinunciare alle proprie aspettative. Al massimo, il minimo necessario per assicurarsi la sopravvivenza. Speranza di far carriera o conquistare una gratificazione remunerativa? Pura utopia. Generazione di perdenti addestrati alla sconfitta dai propri genitori – gli sfolgoranti “rivoluzionari” del Sessantotto. I medesimi adulti che governarono il Paese a partire da vent’anni fa: raggiunti i ruoli chiave del potere – dopo aver sperimentato in gioventù il progresso, l’emancipazione e la ribellione contro un sistema capitalistico corrotto – sposarono il liberismo.
“Le risposte corrette l’Italia avrebbe dovuto darle dieci, venti anni fa, gestendo in modo diverso la politica economica, pensando di più al futuro e un po’ meno all’immediato presente. Alcide De Gasperi diceva che il politico pensa alle prossime elezioni, mentre l’uomo di Stato pensa alle prossime generazioni. Lo sottoscrivo. Quindi la verità, purtroppo non bella da dire, è che messaggi di speranza – nel senso della trasformazione e del miglioramento del sistema – possono essere dati ai giovani che verranno tra qualche anno. Ma esiste un aspetto di ‘generazione perduta’, purtroppo. Si può cercare di ridurre al minimo i danni, di trovare formule compensative di appoggio, ma più che attenuare il fenomeno con parole buone, credo che chi in qualche modo partecipa alle decisioni pubbliche debba guardare alla crudezza di questo fenomeno e dire: facciamo il possibile per limitare i danni alla ‘generazione perduta’, ma soprattutto impegniamoci seriamente a non ripetere gli errori del passato, a non crearne altre, di ‘generazioni perdute’”.
Sentenza lapidaria, emessa nel nome dello spread. La sorte di un’intera generazione è stata condensata in poche parole. Tempo per riparare il danno? L’illusione della “rottamazione dei dinosauri”, cavallo di battaglia di Renzi (il premier classe 1975), è stata già azzoppata. Cambiare verso? All’Italia che si è capovolta, trasformata nel Paese in cui i giovani sono costretti a sacrificarsi per mantenere le ricche pensioni calcolate – fino al 1995 – col sistema “retributivo”. Un sistema dove non conta quanto sia stato versato per finanziare la propria pensione, bensì l’ultima retribuzione lavorativa. Di conseguenza, per alcune categorie i contributi versati nel passato sono di gran lunga inferiori a quanto percepito al giorno d’oggi. Le celebri pensioni “d’oro” che sussitono perfino dopo la riforma Dini, con il cosiddetto sistema contributivo entrato in vigore dalla seconda metà degli anni Novanta – non garantendo però una reale proporzionalità coi contributi versati: anzi, risultando nella maggior parte dei casi inferiore ad essi. Un guazzabuglio degno del manzoniano avvocato di Lecco. Risultato: dal 19911 gli under 35 sono più poveri del 75%, mentre gli over 65 sono più ricchi del 50%.
Avanti con le riforme. L’Italicum, dopo dieci anni dall’approvazione del Porcellum di Calderoli, è diventato legge: entrerà in vigore dal luglio 2016 e avrà validità soltanto per la Camera – prossimamente, con le riforme costituzionali, il Senato non sarà più elettivo. Precluso agli elettori. Per la Camera dei Deputati: liste praticamente bloccate; lauto premio di maggioranza e parlamentari scelti dalle segreterie di partito. La nuova legge elettorale non brilla come esemplare di democrazia.
E il Jobs Act risolverà il problema della disoccupazione come un deus ex machina?Attualmente sembra che i nuovi contratti “a tutele crescenti” e più precari siano preferiti dalle aziende, per via degli sgravi contributivi connessi: non sappiamo ancora cos’accadrà una volta che saranno finiti gli incentivi. Realisticamente, potremmo aspettarci l’effetto bolla di sapone – se non dovessero essere attuate misure più concrete e garantiti crediti per rilanciare il mercato del lavoro. Ancora ignoti gli effetti dei decreti sulle nuove regole del collocamento, della cassa integrazione e in tema di mansioni dei lavoratori. C’è da attendere.
Intanto, è arrivata la sonora bocciatura istituzionale per “la buona scuola” di Renzi: non solo manifestazioni di protesta del personale scolastico e dei docenti, scioperi e il blocco del 90% degli scrutini in Lazio, Lombardia, Emilia Romagna e Molise. Il governo non ha superato l’esame in Senato il 9 giugno, ossia la riforma non è stata approvata dalla commissione Affari Costituzionali.
Ci aspettavamo soluzioni più efficaci dal primo presidente del Consiglio della storia italiana – e fra i giovani leader nell’Unione europea – ad aver raggiunto i vertici istituzionali prima dei quarant’anni. Il primo della classe dei “perdenti”.
Note:
1 Davide Mancino, Perché le pensioni italiane sono un furto dei vecchi ai giovani, Wired, 12 giugno 2015.
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