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Cinquanta sfumature di Trainspotting?

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Vent’anni dopo, stesso regista, stesso cast. Danny Boyle ha annunciato che l’inizio delle riprese è imminente: girerà il sequel di un cult degli anni Novanta, Trainspotting. Tratto dall’omonimo romanzo di Irvine Welsh, dibattuto per la tematica fuorviante sull’uso di eroina – il regista ha sempre smentito che il messaggio fosse di incitamento, eppure non tutti la vedono così – il film ha condizionato lo stile del cinema inglese con la narrazione brutale della realtà quotidiana di alcuni giovani tossicodipendenti. L’impatto del monologo iniziale di Mark Renton (Ewan McGregor) è stato dirompente: “… scegliete un futuro, scegliete la vita. Ma perché dovrei fare una cosa così? Io ho scelto di non scegliere la vita: ho scelto qualcos’altro”. Ribellione verso consuetudini e paradigmi esistenziali già determinati – lavoro, famiglia, maxi televisore, salotto e quiz televisivi, per finire a “tirare le cuoia in uno squallido ospizio, ridotti a motivo di imbarazzo per gli stronzetti viziati ed egoisti che avete figliato per rimpiazzarvi”. Prospettiva medio-borghese futura a cui si stava affacciando la maggior parte degli spettatori che, nel 1996, occupava le poltrone dei cinema. L’alternativa? Renton e i suoi amici – Sick Boy, Francis Begbie e Spud – come tanti al di fuori dell’ambientazione scenografica, l’avevano individuata nell’estraneità al contesto sociale. Una deroga alle norme etiche e immunità all’omologazione culturale quali sensazioni indotte dal consumo di diacetilmorfina e anfetamine, oltre a “quello che la gente dimentica è quanto sia piacevole, sennò noi non lo faremmo”, sottolineava Mark.

Sprezzanti e a prima vista invincibili, fino alle crisi d’astinenza e all’overdose – con allucinazioni descritte da sequenze surreali memorabili. Brani come Perfect Day di Lou Reed, Lust for Life di Iggy Pop e David Bowie – in ogni caso, il Duca Bianco non era fra gli ammiratori di Boyle e negò il consenso all’inclusione di Golden Years nella colonna sonora – o Born Slippy degli Underworld che ne hanno amplificato l’intera trama. Va detto che il successo della trasposizione cinematografica non può essere sconnesso dall’opera di Welsh che, nel 1993, aveva ottenuto un esito travolgente fra critica e pubblico, raggiungendo in un paio d’anni quota 150mila copie. A confronto della prima tiratura di circa tremila, fu un trionfo inatteso. L’attualità delle tematiche, lo stile dialettale e brillante avevano fatto centro. Boom del consumo di droghe pesanti e pericolo del contagio Hiv, dipendenze di ogni tipo – stupefacenti, soldi, sopraffazione e sesso – erano zone oscure che incombevano su una molteplicità di giovani in cerca di emancipazione, edonisti con tendenze autodistruttive, simpatizzanti hippie e nichilisti della generazione X.

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La verità è che sono cattivo, ma questo cambierà. Io cambierò”. Dopo aver raggirato i suoi amici, Renton l’avevamo visto andar via di corsa coi soldi di una vendita di droga e – forse – avremmo voluto ricordarlo o dimenticarlo così, cristallizzato in quei fotogrammi di fuga verso Amsterdam e lo spiraglio di una speranza. Invece, prossimamente il grande schermo racconterà cosa ne è stato del resto della sua vita: Porno, il titolo del sequel scritto dallo scozzese Irvine Welsh nel 2002, dove l’artefice dell’iniziativa di entrare nel business della pornografia è Sick Boy, non poteva essere più esplicito. “Gli anni passano ma i miei ragazzi restano i soliti bastardi” aveva commentato l’autore. Tuttavia, oltre al notevole divario temporale, sappiamo che il film potrebbe avere un titolo differente e sarà ispirato soltanto in modo parziale al secondo romanzo. Un simile vuoto apre la strada a diversi interrogativi. Trainspotting, realizzato in soli due mesi e con un piccolo budget – al decimo posto nella lista dei migliori cento film britannici del XX secolo, per il British Film Institute – rappresentava una sorta di manifesto generazionale. Al giorno d’oggi, sarà più che altro uno scolorito avversario commerciale di Cinquanta sfumature di grigio?


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