Realismo socialista nell’arte, la sublimazione della materia
Chiarezza, impegno ed evidenza erano i caratteri fondamentali a cui doveva ispirarsi l’arte, collegandosi con tutti gli aspetti della vita, anche i più quotidiani: era l’apice del realismo. Il movimento sovietico novecentesco, emerso tra il 1932 e il 1956 – di cui il pittore Aleksandr Aleksandrovič Dejneka (1899-1969) fu uno dei più stimati esponenti – scaturiva in seguito alla tabula rasa degli avanguardisti, molti dei quali si consacrarono ai princìpi della rivoluzione vittoriosa del 1917. Scaturito dalla stessa corrente di ideali, rinnovandone la tradizione estetica con gli insegnamenti del cubismo e del costruttivismo e, tuttavia, identificandosi con l’arte ufficiale del regime totalitario, il realismo socialista è stato per lungo tempo giudicato come un prodotto meramente propagandistico, talvolta kitsch, piuttosto che una corrente artistica a tutti gli effetti. Lo stile non-stile delle opere, in quanto non vi erano delle coordinate specifiche a connotarne i tratti, nasceva da una commistione di generi preesistenti ed era il frutto di intricati problemi posti dalla Rivoluzione d’Ottobre: era molto sentita infatti la necessità di esprimere i bisogni della nuova realtà sociale, abbandonando le posizioni dell’individualismo per farsi veicolo delle idee e dei sentimenti del popolo intero. Un gruppo di artisti d’avanguardia, intorno al quale si radunarono in primis i futuristi, si organizzò nel Fronte di sinistra delle arti (Levyj Front Iskusstv-Lef) sotto la guida di Vladimir Vladimirovič Majakovskij (1893-1930) nel tentativo di mediare una soluzione, scontrandosi però con le posizioni dei suprematisti che sostenevano l’idea di un’arte libera da qualsivoglia materialismo ed organizzazione sociale.
Nel frattempo venivano gettate le basi di un monopolio artistico dello Stato, avviando la nazionalizzazione dei musei, delle scuole e dei mezzi d’informazione; il partito preferì sostenere e riconoscere il movimento del realismo come necessaria espressione della propria struttura ideologica, nonché strumento primario della lotta politica. Con la risoluzione Sul riassetto delle organizzazioni letterarie ed artistiche del 1932 – stesso anno in cui Maksim Gor’kij (1868-1936) definì la teoria del socrealizm (contrazione di socialističeskij realizm) – fu decretato lo scioglimento dei molteplici gruppi e associazioni onde radunarli sotto una sola Unione degli artisti sovietici. Pittura, scultura ed architettura dovevano convergere per interpretare l’ideologia socialista ed esporla al mondo.
“Il desiderio di un poco di più di ciò che si vede, e di un po’ meglio di ciò che si vive”.
Tale era l’arte per Aleksandr Dejneka, un Maestro del realismo molto amato e celebrato in Russia come artista completo ed esemplare: scultore, grafico, pittore, docente e giornalista. Il carattere inedito del suo linguaggio figurativo è vividamente esternato nella prima composizione storico-monumentale sovietica, La difesa di Pietrogrado (metri 2,18 x 2,54) di cui fu l’autore nel 1927. Partecipò per ben quattro volte consecutive, dal ’28 al ’34, alla Biennale di Venezia a testimonianza delle innate simpatie politico-artiste-architettoniche fra il fascismo italiano ed il bolscevismo russo1. Nel 1937 rappresentò l’Urss all’Esposizione Universale di Parigi, ove gli fu assegnata una Medaglia d’oro per il gigantesco pannello pittorico Gli Stacanovisti (alto sei metri, lungo 10,1)2 e due anni dopo conseguì il Primo premio all’Esposizione Internazionale di New York.
A Roma – città di cui lo colpì molto sia la modernità che l’architettura tradizionale – soggiornò per circa un mese, nell’aprile del ’35. In quello stesso periodo il Palazzo delle Esposizioni ospitava la grande Quadriennale con le personali di Mafai e Fausto Pirandello, un’intera sala dedicata alle nuove concezioni degli astrattisti Licini, Reggiani e Magnelli, la retrospettiva dedicata a Scipione oltre a molte sculture di figure intente nell’azione sportiva. Opere d’arte contemporanea italiana allestite seguendo un’innovativa concezione, premiando giovani talenti come Mario Marini e Gino Severini.
Nelle lezioni raccolte dagli studenti fra il 1836 e ’38 – periodo di grande ardore rivoluzionario in cui la realtà sociale divenne il soggetto determinante delle arti figurative e dell’ideazione estetica – Hegel affermò che “ogni opera d’arte appartiene al suo tempo, al suo popolo, al suo ambiente ed è legata a particolari rappresentazioni e fini storici e di altro genere. Perciò la dottrina dell’arte richiede una grande quantità di conoscenze storiche, e al contempo molto speciali, poiché la natura individuale dell’opera d’arte si richiama a singoli elementi ed ha bisogno di elementi speciali per essere compresa e spiegata”3.
L’espressione dello slancio energico, innovatore e popolare, la verità del moto storico e l’esigenza di concrete libertà politiche e culturali confluirono nell’impulso creativo, ponendo in evidenza i valori della realtà: su di essa prendeva forma il contenuto dell’opera, plasmato dallo spirito del tempo. Non più l’inesorabile realtà da accettare incondizionatamente nei suoi aspetti più deleteri e assillanti, ma una nuova materia di trasformazione generata dall’uomo.