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“Conoscevano la prigione di Moro”: la Procura di Roma apre un’inchiesta

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A trentacinque anni dall’assassinio di Aldo Moro emergono nuovi inquietanti misteri sulla vera dinamica della sua sconvolgente fine – avvenuta a Roma il 9 maggio del 1978. Lo Stato negò l’autorizzazione al blitz che ne avrebbe evitato il sacrificio: tali dirompenti rivelazioni sono esposte nel volume del magistrato Ferdinando Imposimato, dato alle stampe lo scorso maggio, I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia – Perché Aldo Moro doveva morire? La storia vera1. La testimonianza dell’ex sottoufficiale della Guardia di Finanza, Giovanni Ladu – oggi 57enne: all’epoca dei fatti, il finanziere sardo prestava servizio col nome in codice “Archimede” in via Montalcini, ossia a pochi passi dal covo delle Brigate Rosse – è stata messa in discussione dalla Procura di Roma. Il 5 novembre il Ros dei carabinieri della capitale ha effettuato perquisizioni nell’odierna residenza del brigadiere in congedo, a Novara. L’ipotesi di reato è la calunnia dei vertici istituzionali, accusati da Ladu di non essere intervenuti per la liberazione di Moro, pur consapevoli, fin dai primi giorni dopo la strage di via Fani, del luogo esatto in cui lo statista – tra i fondatori della Democrazia Cristiana (ne divenne segretario nel ’59), Presidente del Consiglio alla guida di cinque governi (tre di centro-sinistra, uno centrista col Pri e l’altro monocolore Dc) e più volte ministro – fu sequestrato e ucciso.

Senatore nella X-XII Legislatura e deputato durante la XI, Imposimato (n. 1936) è attualmente presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione. Per le rilevanti inchieste svolte in passato su Cosa Nostra – da ricordare il caso del banchiere siciliano Michele Sindona e il processo alla potente banda della Magliana – nel 1985 fu definito dal Times “lo scudisciatore della mafia”. Da giudice istruttore è stato incaricato dei più importanti casi di terrorismo, fra i quali anche il rapimento dell’Onorevole Moro: per quale ragione, dopo più di tre lustri, l’autore dell’anzidetto libro ha messo in dubbio una storia che per la maggioranza degli italiani – compreso, per sua ammissione, il medesimo magistrato – è stata credibile?

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In realtà, il giudice dell’inchiesta aveva in precedenza curato, assieme al giornalista Sandro Provvisionato, il libro dal titolo Doveva morire2, riconosciuto dalla critica come il miglior testo in circolazione sulla strage di via Fani e la morte del leader democristiano. L’inazione del comitato di crisi presieduto da Francesco Cossiga – e patrocinato dal braccio destro del repubblicano Henry Kissinger, l’allora consulente del dipartimento statunitense in materia di terrorismo, Steve Pieczenik – era stata posta in evidenza con un meticoloso lavoro basato su atti e verbali, redatti dallo stesso GI, e su documenti inediti o pressoché dimenticati.

Tra i numerosi riscontri, la terribile confessione postuma di Pieczenik:

Sono stato io, lo confesso, a preparare la manipolazione strategica che ha portato alla morte di Aldo Moro, allo scopo di stabilizzare la situazione italiana. Le Brigate rosse avrebbero potuto rilasciare Aldo Moro e così avrebbero senza dubbio conquistato un grande successo, aumentando la loro legittimità. Al contrario, io sono riuscito con la mia strategia a creare una unanime repulsione contro questo gruppo di terroristi e allo stesso tempo un rifiuto verso i comunisti […]. Il prezzo da pagare è stata la vita di Moro3.

Il giorno in cui venne ritrovato il corpo di Aldo Moro (9 maggio 1978)
Il giorno in cui venne ritrovato il corpo di Aldo Moro (9 maggio 1978)

Ne I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia, le dichiarazioni di due dei militari – il brigadiere “Archimede” e l’altro sottoufficiale, dal nome in codice “Sapienza”, istruttore a Capo Marrargiu specializzato in elettronica nonché membro di Gladio, impegnati a sorvegliare con telecamere esterne e microfoni ambientali la prigione del presidente democristiano – avvalorano e confermano la tesi emersa nell’opera precedente.

Il 20 aprile 1978, Moro da ostaggio delle Br scrisse una lettera indirizzata al segretario della Dc, Benigno Zaccagnini:

Di questi problemi terribili e angosciosi, non credo vi possiate liberare anche di fronte alla storia, con la facilità, con l’indifferenza, con il cinismo che avete manifestato sinora nel corso di questi quaranta giorni di mie terribili sofferenze. […] Se questo crimine dovesse essere perpetrato, si aprirebbe una spirale che voi non potreste fronteggiare. Ne sareste travolti. […] Se voi non intervenite, sarebbe scritta una pagina agghiacciante nella storia d’Italia. Il mio sangue ricadrebbe su di voi, sul partito, sul Paese. Pensateci bene cari amici. Siate indipendenti. Non guardate al domani, ma al dopodomani.4

Com’è noto, nessuno intervenne. L’8 maggio la reazione dei militari presenti in via Montalcini – presso un edificio limitrofo al covo dei terroristi – fu di rabbia e sconforto nell’apprendere che “un ordine superiore” aveva annullato il blitz predisposto da tempo per trarre in salvo il prigioniero. All’ordine impartito dal Ministero dell’Interno seguì l’ira del generale Dalla Chiesa, il quale era del tutto intenzionato e pronto ad entrare in azione: così Giovanni Ladu e il suo commilitone descrivono quelle ore fatidiche.

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Purtroppo, ancora oggi, non è stata scritta la parola fine sull’agghiacciante pagina dell’affaire Moro.

Note:
1 Ferdinando Imposimato, I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia – Perché Aldo Moro doveva morire? La storia vera, Newton Compton, Roma 2013.
2 Ferdinando Imposimato, Sandro Provvisionato, Doveva morire. Chi ha ucciso Aldo Moro, il giudice dell’inchiesta racconta, Chiarelettere, Milano 2009.
3 Tratto dalla Prefazione a I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia, Op.cit.
4 Aldo Moro, Ultimi scritti. 16 marzo – 9 maggio 1978, a c. di Eugenio Tassini, Piemme, Casale Monferrato (Al), 1998, pp. 23-25.
 
Flora Liliana Menicocci

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