Artisti anonimi contro l’arte mercanzia
Anni fa nelle Note per un Manifesto, un gruppo di persone senza nome proclamava: “Gli artisti anonimi desiderano liberarsi dallo ‘statu quo’ ponendosi nello ‘statu incognito’. Il loro scopo è quello di rimuovere il crescente imbarbarimento del pensiero che si esprime attraverso circuiti brevi e corsie preferenziali creati dalla commercializzazione degli artisti, trattati come marchi i cui lavori sono diventati capolavori nell’ignoranza della filosofia”1. A differenza di altre manifestazioni di anonimato nel panorama dell’arte contemporanea attuale – in cui gli artisti adottano pseudonimi, quindi restando individuabili – tale intendimento ha raccolto un gruppo che si è posto sotto totale copertura. Negli ultimi anni, le osservazioni critiche dettate dal mercato dell’arte e l’influenza di quest’ultimo sull’arte contemporanea stessa si sono accresciuti notevolmente. Le opere d’arte si sono trasformate in merce firmata – al pari di un costosissimo jeans strappato – e il nome dell’artista, e non l’opera, è diventato il mezzo principale di distinzione. I contenuti sfumano nel nebbioso, le riviste dànno risalto ad ‘artisti’ che non hanno nemmeno il diploma di scuola d’arte, e gli affaristi acquistano anticipatamente e in blocco opere all’ammasso. I curatori di mostre si sono trasformati in impresari che impostano scadenze per le consegne dei lavori da determinati nomi con temi ad essi associati. In tali circostanze, l’opera d’arte è messa in secondo piano e perde la sua potenzialità inquietante e sovversiva.
Un evento in cui gli artisti restano senza nome, assume, al contrario, il compito sociale ed estetico di rivitalizzare l’accesso all’arte e all’esperienza individuale, tralasciando determinati codici che sono diventati, per così dire, primari. Si crea una situazione di massimo rifiuto dell’apparato, in cui i lavori possono diventare oggetto di critica, ma senza dover essere condizionati dagli autori etichettati-preosannati.
Le enormi quantità di dati con cui il sistema dell’arte contemporanea oggi opera è difficile sia da ignorare che trascurare. Che cosa sia l’arte oggi e come noi la pensiamo e ne parliamo dipende pure da come interpretiamo tali dati e che peso diamo ai diversi gradi d’informazioni.
Che si tratti di un artista specifico o della figura di un determinato tema, la percezione di un’opera d’arte è in sé ispirata dalla precedente esperienza che l’autore ha esposto. I nomi degli artisti inevitabilmente strutturano l’esperienza soggettiva e, a volte, anche ostacolano reazioni spontanee e scontri estetici, diventando una sorta di omologazione spalmata.
Oltre a mantenere i nomi degli artisti sotto copertura, le opere esposte degli anonimi sono collocate, in genere, all’interno di una sorta di puzzle architettonico, un labirinto di significati sospesi. L’argomento della paternità nascosta giunge ad un livello man mano stratificato. Ad esempio, è presente l’autore di cinque auto bianche parcheggiate misteriosamente una dopo l’altra? La mano dell’artista è intervenuta all’interno di ‘atti di natura’ riconosciuti, quali il gorgheggio di volatili mentre quel ramo si muove? Perché gli autori delle fontane cittadine sono sempre senza nome? Ve lo siete mai chiesto? E Marcel Duchamp era consapevole di ciò quando intitolò Fountain (1917), la sua famosa latrina pubblica ruotata di 90° a mezza strada fra un bacino femminile ed un vaso alchemico? E cosa succede alla nozione di scultura, quando questa inizia a gocciolare? Le questioni fenomeniche sollevate dagli anonimi concedono allo spettatore un’autonomia interpretativa senza precedenti.
Quando per scelta si getta un velo opaco sui nomi, le opere non solo comunicano l’enigma, ma se stesse contengono tracce di anonimia – lasciando orme cariche di misteri e miti – ossia la capacità di leggere l’arte attraverso i suoi insiemi di dati si sposta a un livello inferiore. Come se uno spazio sia piegato in strati multipli, in cui il soffitto diventa il pavimento, e la finestra consente di vedere solo all’interno, per cui gli osservatori vengono continuamente gettati su se stessi, sulle proprie osservazioni, e sono, quindi, collegati con le opere la cui realtà è conformata in parte dalla propria percezione e dal linguaggio che le spiega.
Ben note strategie artistiche, come il Citazionismo o l’Arte concettuale retrocedono alla periferia della percezione – e il metalinguaggio che ha da tempo permeato e ‘gestito’ opere artistiche (o manipolato la loro ricettività) subisce una recessione. Sotto la luce dell’acquisizione estetica, i nomi degli artisti appaiono come protesi aggiunte, gambe e braccia supplementari che ci impediscono di cadere nel vuoto dell’inconoscibilità, poiché il mercante d’arte vuole le firme, è interessato al ‘prodotto’ destinato alla vendita grazie al nome. È proprio questa lacuna che le opere anonime cercano di colmare. Eliminando i nomi si verifica uno strano caos, un gioco che è al di sopra di un evidente trucco, ed è pure superiore ad un inganno deliberato. Come spettatori, ci troviamo al confine tra conoscere (vedendola) e non conoscere (ignorando il ‘padre’) l’opera d’arte, e allo stesso tempo riflettiamo sui nomi conosciuti, che ci vengono in mente, e la loro insensatezza quali strumenti della compravendita. Ci troviamo al centro di una linguaggio là per là ignoto, ma per questo innovativo al pari di una rivelazione.
In arte, il noto e l’ignoto non sono opposti che si escludono reciprocamente. Non di rado l’idea è porre in primo piano l’aspetto sconosciuto di un artista noto, per confrontare il suo lato oscuro su ciò che si sa di lui o di lei, accrescendo il significato del suo lavoro. Questo legittima non solo le ripetute mostre dei cosiddetti classici, ma anche la varietà di prospettive e interpretazioni di un’opera d’arte non limitata, ma delimitata (ossia spogliata dei suoi confini). Si rivela più difficile – anche se molte ambiziose gallerie e spazi espositivi fanno a gara su questo fronte – rendere conosciuti gli artisti sconosciuti, e le possibilità di successo in tale impresa sono in non piccola misura basate su quanto bene l’istituzione – o il curatore – sia autorevole al punto da esibire il lavoro dell’artista ignoto. In tutti i casi, lo sconosciuto non diventerà famoso a dispetto delle buone intenzioni degli organizzatori.
Andy Warhol nel 1968 – anno della scomparsa di Duchamp – affermò: “Nel futuro ognuno sarà per 15 minuti di fama mondiale”, prevedendo la svalutazione dello status di fama e della linea di produzione assemblante delle cosiddette stelle dell’arte contemporanea. Con la volgarizzazione massiva della fama giunge un’irrefenabile voracità di essa, la quale si deve alimentare di continuo. Un circolo vizioso, dove sono montate a tavolino tante persone famose, che, non posseggono affatto l’’aura’ della fama e, di conseguenza, sono rapidamente e facilmente scomposte, sostituite e intercambiate. Chiunque è famoso oggi, domani sarà presto dimenticato.
Chi è anonimo non sarà oggetto di scherno da parte dei critici eterodiretti dal ricco imprenditore d’arte.
Note:
1 Artnet News, 24.10.2006.
- Found footage e unicus agens - 13/09/2017
- Tecnologia e disumanizzazione - 05/05/2017
- Il senso dei ricordi quale Storia - 28/03/2017