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Intelligenza Artificiale: sarà nostra alleata, oppure Skynet potrebbe diventare realtà?

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Illustrazione di Gerd Altmann da Pixabay

L’Intelligenza Artificiale (IA) è un concetto che affascina e spaventa da decenni. Sono molti i romanzi ed i film distopici che, nel corso degli anni, hanno impressionato l’inconscio collettivo con l’idea che una IA possa distruggere l’umanità. Dallo spietato Skynet di Terminator agli utili robot di Wall-E, l’immaginazione si è sbizzarrita su quel che potrebbe rappresentare una simile tecnologia in futuro. Pellicole come 2001: Odissea nello spazio, Intelligenza Artificiale, Blade Runner ed Ex Machina hanno ispirato generazioni di studenti di robotica, i quali erano soliti descrivere l’IA come la creazione di computer rivoluzionari che avrebbero agito proprio come sul grande schermo. L’argomento sta ora attraversando uno dei suoi momenti ricorrenti sotto i riflettori globali. Una delle motivazioni di questo estremo picco di curiosità può essere attribuita alla continua fascinazione hollywoodiana. Tuttavia, nonostante una visione prevalentemente distopica, la stessa macchina hollywoodiana incoraggia ad esplorarne i potenziali vantaggi.

Con l’avanzare della tecnologia ad un ritmo esponenziale, le preoccupazioni per l’impatto dell’intelligenza artificiale sull’esistenza umana si fanno sempre più diffuse. Il concetto cinematografico di Skynet, un complesso sistema informatico che acquisisce consapevolezza di sé – perseguendo l’obiettivo di eliminare il genere umano – è divenuto un riferimento popolare per gli eventuali pericoli dell’IA. Oltre i confini del piccolo e grande schermo, dalle automobili a guida autonoma ai software di riconoscimento facciale, l’IA sta già trasformando il nostro modo di vivere e lavorare. Mentre alcuni esperti prevedono che grazie ad essa si giungerà a livelli di produttività ed efficienza senza precedenti, altri mettono in guardia dalla prevedibile perdita di posti di lavoro, evidenziando le implicazioni etiche legate allo sviluppo dei sistemi autonomi. Il dibattito fra sostenitori della nuova era di innovazione e coloro che vi ravvisano una minaccia infuria da anni. 

Innegabilmente, l’IA racchiude in sé il potenziale per rivoluzionare il nostro mondo in molteplici forme. Dai droni a controllo remoto ai sistemi commerciali automatizzati, le possibili applicazioni tecnologiche sono molto ampie. Spetta proprio all’uomo garantire che tali strumenti siano utilizzati per il bene comune. Anche le probabilità di errori umani e imperizia costituiscono un rischio tangibile, ed abbiamo più volte sperimentato come simili fattori possano avere conseguenze disastrose. 

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Al fine di costruire un futuro in cui uomini e macchine possano coesistere in armonia, diventa essenziale valutare ciascun aspetto. Una delle principali sfide riguarda il confine in termini di utilizzo ed impatto sulle persone. È altrettanto vero che la consapevolezza dei potenziali rischi sia da bilanciare con il valore dei vantaggi rappresentati dall’IA – la cui ascesa appare inarrestabile. Essa avrà un impatto considerevole sull’industria e sui singoli individui. I numerosi settori spaziano dall’automazione industriale al campo medico, dall’etica alla privacy. 

Nonostante la percezione popolare attribuisca a robot e computer caratteristiche negative tipicamente antropiche, come crudeltà e volubilità, l’intelligenza artificiale rappresenta innegabilmente una risorsa preziosa per le aziende. Secondo gli analisti, la sua espansione è in procinto di accelerare in modo significativo, raggiungendo un valore di 119 miliardi di dollari entro il 2025. Sebbene tali stime possano ampiamente variare, è certo che l’IA non sia più una tendenza tecnologica passeggera, tantomeno un concetto onirico. 

Grazie ai costanti sforzi degli esperti hardware e software, i computer migliorano costantemente, duplicando la propria potenza ogni diciotto mesi. I dispositivi attuali sono un milione di volte più potenti rispetto a quelli di pochi anni fa, e sono in grado di accedere a banche dati di maggiore ampiezza grazie ad algoritmi e sensori avanzati, disponendo di risorse più estese e dati archiviati nel cloud. È proprio così che i nostri “telefoni” si sono rapidamente trasformati in supercomputer compatti, in grado di riconoscere immagini e volti, nonché di interagire coi nostri input vocali. Gli smartphone odierni possono facilmente connettersi ad Internet, analizzando un vasto bacino di conoscenze umane. Gli assistenti virtuali possono fornire risposte pertinenti su qualsiasi argomento, dalla situazione meteorologica a Torino alla biografia di Leonardo da Vinci, dalle nozioni di medicina alle condizioni del traffico a Roma. Interrogare il proprio telefono sul miglior tragitto da percorrere in automobile, o sugli orari dei treni, è una consuetudine ormai ampiamente accettata come routine quotidiana.

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È importante notare che i sistemi di IA non possiedono capacità simili a quelle umane come la cognizione, l’anticipazione o la percezione, né si sforzano di replicare un sentimento. Essi si concentrano sul fornire risposte rapide e precise, dando l’impressione che simili prestazioni siano dovute ad una smisurata intelligenza. Tra gli esempi più celebri, ricordiamo il caso del campione del mondo di scacchi dal 1985 al 2000, Garri Kimovič Kasparov, che negli anni Novanta fu battuto da Deep Blue dell’IBM. L’impatto psicologico delle prestazioni della macchina lasciò Kasparov convinto che il computer gli stesse leggendo la mente. In realtà, Deep Blue aveva analizzato un numero smisurato di potenziali combinazioni, servendosi di uno specifico database per le mosse di apertura ed una vastità di dati su precedenti partite di scacchi. Al contempo, Deep Blue non sarebbe stato in grado di rispondere ad una semplice domanda di cultura generale. Per quale motivo? L’IA non è onnicomprensiva. Attualmente, non c’è modo di creare un computer dotato di un’intelligenza artificiale che sia riflessiva, consapevole di sé e capace di trasferire facilmente le proprie competenze ed esperienze in domini diversi. 

È ragionevole affermare che i pericoli dell’intelligenza artificiale siano spesso esasperati. Sebbene molti paventino un futuro in cui le macchine possano ribellarsi e sottomettere gli umani, tali preoccupazioni sono in gran parte infondate. Il rischio più concreto risiede piuttosto nell’incapacità umana di comprendere e controllare appieno tali sistemi. Lo stesso Geoffrey Hinton, psicologo cognitivo e figura di spicco nello sviluppo delle reti neurali artificiali, ha richiamato l’attenzione sui progressi esponenzialmente rapidi degli algoritmi di intelligenza artificiale in termini di elaborazione dei ragionamenti. Le capacità dei modelli linguistici come PaLM o Gpt-4 potrebbero superare quelle umane nell’arco di cinque o vent’anni, secondo il ricercatore. Sarà pertanto fondamentale stabilire dei limiti e dei regolamenti, ponendo estrema cura ed attenzione alle politiche di implementazione per le IA esistenti. 

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Al giorno d’oggi, si è ben lontani dal realizzare una IA autoconsapevole – ossia, senziente – che possa decidere che l’uomo non sia più necessario. Pur essendo programmate per “pensare”, ascoltare e comunicare, le macchine avranno sempre maggiore bisogno del contributo umano. Le loro funzioni possono essere svolte soltanto se istruite e convalidate da coloro che le hanno create. Man mano che esse diverranno più avanzate, la richiesta di Data Scientist per addestrare le IA crescerà esponenzialmente, ma l’idea di incontrare un computer autocosciente resterà a lungo limitata al cinema ed alle serie TV. 

Saremo dunque in grado di evitare il futuro distopico previsto da molti film di fantascienza? Se, da un lato, emergono valide preoccupazioni sulle implicazioni etiche della IA, dall’altro vi sono molteplici opportunità per un utilizzo finalizzato al miglioramento delle nostre vite. Mentre la società continua a confrontarsi con simili interrogativi, spetta a ciascun individuo adottare un approccio che apporti dei benefici all’umanità, anziché danneggiarla.

Flora Liliana Menicocci
Illustrazione di Gerd Altmann da Pixabay

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