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The Martian e la potenza hollywoodiana

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Un film di pura fantascienza: niente di ciò che avete visto (o vedrete) è ancora ipotizzabile, se non nei progetti più rosei della Nasa che prevedono una prima base da istituire sul pianeta Marte entro la fine del 2030. Non un avamposto umano permanente, hanno anticipato i vertici dell’agenzia spaziale statunitense: attualmente, lo Human Exploration and Operations Mission Directorate, non ha preso nemmeno in considerazione l’idea di una colonia marziana stabile. Per iniziare a sognare ad occhi aperti un’avventura di sopravvivenza estrema sul pianeta rosso è stato necessario unire le doti scientifico-letterarie di Andy Weir, programmatore e scrittore di Mountain View con la passione per la fantascienza, l’esperienza e la genialità del regista e produttore cinematografico Ridley Scott più un budget stimato in 108 milioni di dollari. Sopravvissuto – The Martian (2015) è stato tratto dal romanzo di Weir, L’uomo di Marte (2011), frutto di ricerche meticolose su meccanica orbitale, botanica, ingegneria aerospaziale e fenomeni astronomici, divenuto un bestseller mondiale grazie al passaparola. La sceneggiatura è opera di Drew Goddard – dopo i successi di Alias e Lost, Goddard aveva preso parte alla realizzazione della serie Daredevil per la Marvel – e, in parte, della stessa Nasa: circa cinquanta pagine sono materiale dell’agenzia governativa che ha acconsentito ad essere rappresentata nel film. Per le riprese, durate 70 giorni tra i Korda Studios di Budapest e la Valle della Luna (Uadi Rum) in Giordania, allo scopo di simulare virtualmente l’ambientazione marziana sono stati fabbricati venti differenti set di proporzioni gigantesche. Nel cast, Matt Damon e Jessica Chastain per la seconda volta assieme dopo Interstellar (2014) di Christopher Nolan, Sean Bean, Jeff Daniels, Kate Mara e Michael Peña già interpreti entrambi di Shooter (2007) di Antoine Fuqua, Kristen Wiig e Sebastian Stan.

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Traumatizzati dalla famosa e drammatica scena, in Mission to Mars (2000) di Brian De Palma, dell’astronauta Woody Blake (Tim Robbins) che si immola nello spazio? Niente panico: l’esperienza da sopravvissuto del primo uomo a posare piede – nella finzione del grande schermo – sul suolo marziano, Mark Watney, come suggerito dal titolo stesso, non si trasformerà in tragedia. Sorprendentemente, dopo essere stato abbandonato su Marte per un errore tecnico, creduto morto dall’equipaggio a causa dell’attrezzatura biometrica danneggiata ed impossibilitato a comunicare con la Terra o col veicolo spaziale Ares III, il botanico e ingegnere Watney (Matt Damon) affronterà la situazione con umorismo e spirito irriverente, in stile Douglas Adams. Chissà se, per i monologhi del diario di bordo, l’autore del romanzo L’uomo di Marte non si sia ispirato proprio alla Guida galattica per gli autostoppisti? Scampato alla violenza di una tempesta marziana che ha costretto l’equipaggio di Ares III ad interrompere la spedizione, al suo risveglio il giovane astronauta non è più un terrestre, bensì il marziano: unico abitante di un pianeta inospitale e desertico. “Dovunque vada, sono il primo”. Solitaria sfida al superamento dei limiti umani e novità narrativa in cui, per la prima volta, angoscia e paura sono assenti dalla trama: eppure, nonostante l’ilarità suscitata dall’atteggiamento del protagonista, non si può sfuggire alla spietata logica della lotta per la sopravvivenza. Gli ostacoli da superare per giungere all’unica possibilità di salvezza – attendere una futura missione di salvataggio – sono quasi insormontabili. Pochi mezzi, acqua e razioni alimentari insufficienti, inconvenienti all’ordine del giorno: come riuscirà Mark Watney a restare in vita? Grazie all’apparato hollywoodiano e con l’esaltazione autocelebrativa del super dominante americano che fa avverare verosimilmente – sulla pellicola – anche l’impossibile.

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Flora Liliana Menicocci

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